07:48 | 19 apr 2024

MF ANALISI: da Draghi e Letta due idee di Europa che si contrappongono

Di Stefano Feltri, curatore del sito e della newsletter "Appunti"

ROMA (MF-NW)--Nei rapporti di Mario Draghi ed Enrico Letta si contrappongono due idee di Europa, che per semplificare potremmo chiamare un’idea francese e un’idea tedesca-italiana. Draghi nel rapporto sollecitato dalla Commissione Ue privilegia la discontinuità con il passato per ragioni geopolitiche ("cambiamento radicale"). Nel suo lavoro su richiesta del Consiglio Europeo Letta cerca di adattare gli strumenti esistenti, su tutti il mercato unico, al nuovo contesto ma senza stravolgerli, anzi, rafforzandoli, secondo le logiche dell’economia sociale e di mercato. È noto che il principale sostenitore di Draghi per un incarico europeo dopo le elezioni di giugno è il presidente Emmanuel Macron, dunque non stupisce che le idee di Draghi siano in sintonia con le azioni dell’Eliseo e del commissario all’Industria Thierry Breton. Nel suo discorso a La Hulpe, in Belgio, Draghi non nomina mai il mercato unico. Il mercato europeo è semplicemente un mercato grande, dove le imprese devono essere incoraggiate a crescere e aggregarsi, soprattutto in settori strategici come quello della difesa perché "i primi cinque player negli Stati Uniti valgono l’80% del mercato, mentre in Europa soltanto il 45%". A proposito di telecomunicazioni, Draghi abbraccia le richieste delle aziende che lamentano prezzi e margini troppo bassi per effetto della concorrenza: 34 gruppi per 445 milioni di consumatori sono troppi, ne servono meno in modo da avere più investimenti sulla tecnologia di frontiera come il 5G. Dunque bisogna "supportare, non ostacolare il consolidamento". Un tema che cita anche Letta, ma con toni diversi: l’ex segretario del Pd pare più consapevole del fatto che la concentrazione nelle telecomunicazioni di solito avviene a spese dei consumatori, che infatti negli Stati Uniti hanno servizi più scadenti e prezzi più alti che in Europa. Tra le righe del discorso di Draghi c’è, quindi, un distacco da quella che è stata la cultura antitrust dell’Unione Europea degli ultimi vent’anni: l'approccio di Bruxelles, dai tempi di Mario Monti commissario a Margrethe Vestager oggi, è sempre stato quello di privilegiare la tutela del mercato rispetto alle promesse di efficienza che accompagnano sempre i progetti di fusioni. Enrico Letta invece cita il rapporto Monti del 2010 e rispetta l’ortodossia che vede il mercato unico come pilastro della costruzione europea, requisito preliminare non soltanto per la concorrenza e la moneta unica, ma anche per l’equità e, aggiunge Letta, per i diritti sociali. Per Letta il mercato unico è così importante che l’Unione Europea dovrebbe rafforzarlo solo con regolamenti, immediatamente applicabili, invece che con direttive che lasciano gli Stati membri troppo liberi di stabilire come e quando uniformarsi ai principi stabiliti a Bruxelles (si veda la direttiva Bolkestein in Italia). Una maggiore convergenza tra i due approcci si registra invece a proposito degli aiuti di Stato. Sia Draghi che Letta suggeriscono che la politica industriale vada fatta a livello europeo, e non con deroghe ai singoli Stati membri che poi intervengono nei settori strategici ma per tutelare le proprie aziende, invece che per aumentare la resilienza complessiva dell’Unione. Draghi e Letta sono poi concordi sul fatto che l’Unione Europea sia troppo indietro nell’economia digitale. Letta ricorda gli interventi regolatori recenti come il Digital Service Act e il Digital Markets Act che sono, in via preventiva, la declinazione dei principi antitrust che difende in altre parti del suo rapporto: l’Ue magari non inventa molto, ma almeno è in grado di tutelare i consumatori e le condizioni per l’innovazione meglio degli Stati Uniti, dove il legislatore è catturato dalle big tech. Draghi ha un approccio più critico: le priorità politiche e i contributi in termini di idee e di ricerca non si traducono in innovazione con un potenziale commerciale, dunque non ci sono giganti digitali europei. Anche perché il settore finanziario, centrato sulle banche, non indirizza il risparmio privato verso le tecnologie di frontiera che sono ad alto rischio ma anche ad altissimo rendimento. C’è però un problema più strutturale e specifico rispetto all’innovazione, che viene esasperato invece che contrastato dalle politiche europee: a fare ricerca e sviluppo sono i settori sbagliati, cioè l’automotive invece che il comparto software. Questa è la conclusione a cui è arrivato un rapporto appena pubblicato dallo European Policy Analysis Group, che raccoglie il Cesifo dell’Università di Monaco, la Toulouse School of Economics e l’Institute for European Policymaking della Bocconi. Vent’anni fa i principali investitori in ricerca nel settore privato negli Stati Uniti erano Ford, Pfizer, General Motors; nell’Unione europea erano Mercedes-Benz, Siemens e Volkswagen. Negli Stati Uniti oggi sono Alphabet, Meta e Microsoft, tutti nel software, mentre in Europa sono ancora Volkswagen, Mercedes-Benz e Bosch, sempre settore auto. Il report delle tre università dimostra che anche i fondi europei per l’innovazione (incluso il programma Horizon) finiscono per ricalcare questa struttura del settore privato, dunque finanziano molta ricerca incrementale, e pochissima di frontiera. Non sarà mai un’impresa automobilistica a produrre vera innovazione, anzi, il settore europeo si trova ora insidiato da quello cinese nella transizione all’elettrico. Per superare questo stallo, gli approcci di Draghi e Letta devono diventare complementari: la concentrazione non produce necessariamente innovazione, ma può anzi sopprimerla con acquisizioni mirate dei potenziali futuri competitor. Un mercato unico non sostenuto da politiche coerenti con gli obiettivi strategici condanna l’Unione a restare indietro.

red

fine

MF NEWSWIRES (redazione@mfnewswires.it)

1907:48 apr 2024