MILANO (MF-NW)--L'inflazione core negli Stati Uniti, che esclude le componenti più volatili come cibo ed energia, a giugno è aumentata dello 0,2% su base mensile e del 2,9% su base annua. Il dato è risultato leggermente inferiore alle aspettative del mercato, che prevedevano una crescita dello 0,3% m/m e del 3,0% a/a. Secondo Jeffrey Cleveland, chief economist di Payden & Rygel, aggiungendo che il deflatore core, la misura dell'inflazione preferita dalla Fed, potrebbe attestarsi intorno al 2,5-2,6% la fine dell'anno.
LA MINACCIA DEI DAZI
"Se è vero che si osservano pressioni al rialzo sui prezzi di alcuni beni di consumo, in particolare nei comparti dell’abbigliamento, dell’arredamento e dei beni ricreativi, questi aumenti sembrano legati all’annuncio dei nuovi dazi e sono bilanciati dal raffreddamento dei servizi abitativi, che nel mese di giugno hanno registrato il tasso di incremento più contenuto dal febbraio 2021", afferma l'esperto, sottolineando che il comparto "shelter" incide per circa un terzo sull'indice Cpi core, e quindi "si tratta di un elemento da non sottovalutare". Inoltre, prosegue Cleveland, "trattandosi di una componente strutturalmente lenta ad aggiustarsi, è plausibile attendersi che questa dinamica prosegua anche nella seconda metà dell'anno, contribuendo a contenere eventuali pressioni al rialzo sui beni". Per quanto riguarda i servizi diversi da quelli abitativi, tipicamente più sensibili all’andamento del mercato del lavoro, i prezzi restano abbastanza sostenuti, ma il team di Payden & Rygel si aspetta un progressivo rallentamento del mercato del lavoro nei prossimi trimestri.
IL MERCATO DEL LAVORO POTREBBE RALLENTARE
La crescita occupazionale ha già mostrato segnali di decelerazione e riteniamo probabile un lieve aumento del tasso di disoccupazione entro la fine dell'anno, il che dovrebbe contribuire a ridurre ulteriormente le pressioni inflazionistiche nel comparto dei servizi, sottolinea l'esperto. "Nel complesso, questi fattori convergono verso un ulteriore rallentamento dell'inflazione core nella seconda metà del 2025. Prevediamo che l’indice Pce core, la misura dell'inflazione preferita dalla Fed, possa attestarsi intorno al 2,5-2,6% alla fine dell'anno. Per il 2026, con l’attenuarsi degli effetti dei dazi e l’evoluzione del mercato del lavoro, riteniamo plausibile un ritorno al 2%, se non addirittura al di sotto", osserva Cleveland.
DIFFICILE UN TAGLIO FED IMMINENTE, MA È POSSIBILE IN AUTUNNO
"È importante ricordare che, sebbene i dazi possano esercitare pressioni temporanee sui prezzi di alcuni beni, tendono anche a frenare la crescita, funzionando di fatto come una tassa per famiglie e imprese. In quest'ottica, abbiamo rivisto al ribasso la nostra previsione di crescita del Pil statunitense per il 2025, portandola a circa l'1,5%. Non si tratta di una recessione, ma piuttosto di una fase di crescita al di sotto della media", evidenzia l'economista. Sul fronte della politica monetaria, il raffreddamento dell’inflazione e l’attenuazione delle condizioni del mercato del lavoro dovrebbero offrire alla Federal Reserve lo spazio necessario per iniziare a ridurre i tassi. "Pur non essendo ancora giunti al momento di una riduzione immediata del costo del denaro, riteniamo che le condizioni per un primo intervento possano concretizzarsi nel corso dell'autunno, purché l'attuale tendenza venga confermata dai dati", conclude Cleveland.
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1810:19 lug 2025